“Ogni cosa conduce ad un’altra cosa, che conduce ad un’altra cosa…
se ti concentri sul fare la più piccola, poi la successiva e così via, ti troverai a fare grandi cose, avendo fatto solo piccole cose”
J. H. Weakland
Come funziona l’approccio strategico
Tale approccio del tutto innovativo rispetto ai tradizionali modelli di terapia, sceglie consapevolmente di NON partire da una teoria a priori ritenuta vera/oggettiva, in quanto come affermava E. Kant “A priori delle cose conosciamo solo ciò che noi stessi vi mettiamo”.
Sceglie invece di procedere ancorandosi alla consapevolezza operativa del terapeuta e all’imparare facendo, ovvero all’ipotesi che la conoscenza ultima di una difficoltà psicologica ci derivi esclusivamente dalla sua soluzione.
Il concetto cardine di consapevolezza operativa (H. von Glaserfeld, 1984) altro non è che quella conoscenza che ci permette di adattarci nel modo più funzionale possibile a ciò che percepiamo, tramite la messa a punto di strategie che si fondino di volta in volta sugli obiettivi che ci poniamo e che sappiano adattarsi mano a mano all’evolversi di tali realtà.
L’agire costruisce la conoscenza, poiché l’uomo può conoscere solo ciò che egli stesso fa: conoscere cambiando.
“Ogni problema profana un mistero, che a sua volta è profanato dalla sua soluzione “ (E. Cioran).
L’operatività offerta si prefigge l’obiettivo di costruire e produrre cambiamenti concreti attraverso metodologie e tecniche ritagliate ad hoc per ciascuna persona o gruppo e per i suoi specifici contesti di appartenenza (individuale, di coppia, famigliare, aziendale ecc).
Chiunque si trovi di fronte ad una difficoltà cercherà di inquadrarla e di reagirvi in base al proprio specifico modo di interpretare e costruire gli eventi (sistema percettivo-reattivo); tenterà altresì di mettere in atto delle possibili strategie per cercare di risolvere la situazione e stare meglio.
Quando queste strategie (tentate soluzioni) non funzionano e la difficoltà persiste, la persona solitamente tenderà ad intensificare e ripetere quei medesimi tentativi, allo scopo di superare ciò che gli crea disagio. Ciò che frequentemente accade, tuttavia, al di là di ogni aspettativa cosciente di questa persona, è che più tali tentativi verranno reiterati, proprio perché non funzionanti, più la difficoltà si irrigidirà e si trasformerà in problema, trasformando nel contempo e nella stessa direzione di irrigidimento quel sistema di credenze e di opinioni che lo hanno sostenuto.
Nel concreto, quindi, accade che quegli sforzi compiuti dalla persona nella sperata direzione del cambiamento si trasformeranno non volutamente e poco a poco in vere e proprie prigioni di mantenimento del problema, che a loro volta costruiranno un circolo vizioso e ridondante di percezioni-reazioni attraverso le quali non solo il problema non si risolverà, ma addirittura si autoperpetuerà e si autolimenterà sempre di più.
Sarà perciò proprio attraverso la rottura di tale circolo vizioso di tentate soluzioni disfunzionali che il terapeuta produrrà il cambiamento, avvalendosi di Protocolli di trattamento diversificati in base alle specifiche tipologie di problema presentato e contenenti una varietà di strategie e di manovre terapeutiche costruite con procedure rigorose ed utilizzate sia nella prima fase dello sblocco del problema (riduzione ed estinzione dei sintomi), che nella fase del consolidamento dei risultati ottenuti (ribaltamento del sistema percettivo-reattivo, ovvero cambiamento della percezione che faceva sentire il problema come tale).
“Se fai quello che hai sempre fatto, otterrai quello che hai sempre ottenuto” (A. Robbins)
Come si potrà notare già da questa prima descrizione, si tratta di un intervento terapeutico con caratteristiche del tutto diverse rispetto al tradizionale panorama delle terapie psicologiche. Infatti esso è usualmente breve e focale nel senso che il terapeuta si focalizza in modo pragmatico sulle problematiche presentate dalla persona nel qui e ora, ossia nel presente; inoltre, terapeuta e paziente monitorano in modo congiunto l’andamento del percorso nell’arco delle prime 10 sedute, che rappresentano il tempo utile per registrare e vedere i primi concreti cambiamenti, che costituiranno una base imprescindibile di reale efficacia dimostrata dal trattamento che consentirà, se il problema non si è estinto ancora del tutto, di poter procedere avendo esso dimostrato appunto una solida e concreta capacità di cambiamento nella direzione della sua definitiva risoluzione.
Se in questo tempo non si fossero verificati anche minimi ma significativi mutamenti rispetto al disturbo portato dalla persona ed agli obiettivi congiuntamente prefissati, si interrompe il trattamento, in quanto ciò che non è stato possibile modificare entro tale periodo utilizzando questo specifico approccio, non sarà molto probabilmente possibile attuarlo in tempi più lunghi.
Questo patto terapeutico, motivato da ragioni etiche visto che stiamo parlando della risoluzione di situazioni di disagio che provocano sofferenze umane, motiva e vincola terapeuta e paziente ad agire responsabilmente fin dall’inizio con la massima sollecitudine ed impegno reciproci rivolti nella direzione della effettiva estinzione del problema. Come disse P. Watzlawick, nell’Introduzione del testo “L’arte del cambiamento” (1990), la più volte citata analogia tra modello di terapia costruttivista-strategico e gioco degli scacchi, valida per molti degli aspetti e delle specifiche caratteristiche applicative di tale modello, se ne differenzia proprio nel presupposto sopra descritto: “La terapia, al contrario degli scacchi, è un gioco a somma diversa da 0, nel quale non esistono un vinto ed un vincitore, ma la partita finisce o con la vittoria di entrambi i giocatori, terapeuta e paziente, o con la loro congiunta sconfitta”.
“Mentre perseguiamo l’irraggiungibile, rendiamo impossibile l’attuabile” (R. Ardrey)
Date tali premesse ne consegue che la terapia è orientata all’estinzione del disturbo psicologico che la persona vive nel presente, attraverso: la focalizzazione chiara di obiettivi concreti di cambiamento da raggiungere, anche con una precisa scansione temporale; l’attenzione è rivolta specificatamente sul come funziona e come persiste il problema e non sulle sue presunte cause da ricercare nel passato; l’applicazione di rigorose tecniche comunicative e specifiche prescrizioni comportamentali che mirano a scardinare quel circolo vizioso di tentate soluzioni che nell’ottica della persona avrebbero dovuto risolvere il problema ed invece lo mantengono e lo autoalimentano; il produrre cambiamenti non solo sintomatici ma radicali, ossia miranti a modificare il sistema percettivo-reattivo della persona, ovvero quel modello automatico e ridondante di pensiero-azione attraverso il quale ha costruito la realtà che poi ha subìto.
La processualità terapeutica prevede usualmente un preciso svolgimento in 4 fasi nelle quali già dalla prima seduta si comincia ad agire per cambiare, sulla scorta della metodologia della Ricerca-Intervento ben delineata da K. Lewin, che così la sintetizza “Se vuoi sapere come una cosa funziona, cerca di cambiare il suo funzionamento”:
- la prima fase prevede la costruzione congiunta della relazione terapeutica, la definizione chiara ed in termini concreti del problema presentato e degli obiettivi da raggiungere per poter considerare chiuso il trattamento;
- la seconda fase prevede l’individuazione del sistema percettivo-reattivo specifico della persona, delle sue altrettanto specifiche tentate soluzioni che mantengono il disturbo e la programmazione delle strategie di cambiamento e delle manovre terapeutiche più calzanti rispetto alla tipologia del problema;
- la terza fase prevede lo sblocco delle tentate soluzioni e la modificazione del sistema percettivo-reattivo attraverso specifiche modalità: di relazione tra paziente e terapeuta; di forme comunicative e stratagemmi più o meno evocativi e persuasori (aforismi, metafore, aneddoti); di prescrizioni di comportamento dirette o indirette;
- la quarta fase prevede l’attento consolidamento dei risultati raggiunti e la spiegazione dettagliata di tutto quello che è stato fatto nel percorso.
L’approccio costruttivista-strategico è risultato particolarmente efficace ed efficiente nel trattamento dei seguenti Disturbi (i dati relativi all’applicazione del Modello strategico su oltre 10.000 casi trattati in quindici anni al Centro di Terapia Strategica di Arezzo, si sono dimostrati i più efficaci e rapidi secondo una valutazione compiuta in base a standard indicati a livello internazionale e si possono trovare dettagliati anche alle pag. 113 e 114 del testo “Solcare il mare all’insaputa del cielo” di G. Nardone, E. Balbi, 2008, ed. Ponte alle Grazie, Milano):
- Disturbi d’ansia, efficacia nel 95% dei casi (disturbo da attacchi di panico con e senza agorafobia, disturbo d’ansia generalizzato, fobia sociale, disturbo post-traumatico da stress, fobie specifiche);
- Disturbi ossessivi, efficacia nell’89% dei casi (ossessioni, compulsioni, disturbi somatoformi come ipocondria e dismorfofobia);
- Disordini alimentari, efficacia nell’83% dei casi (anoressia, bulimia, vomiting, binge eating);
- depressione, efficacia nell’82 % dei casi (nelle sue diverse forme);
- Disturbi sessuali, efficacia nel 91% dei casi (difficoltà di erezione, eiaculazione precoce, vaginismo e dispareunia, disturbi del desiderio);
- problemi relazionali in diversi contesti, efficacia nell’82% dei casi (quello della coppia, della famiglia, del lavoro e sociale);
- problemi dell’infanzia (solitamente trattati con una terapia indiretta con i genitori per evitare la medicalizzazione e l’etichettamento del bambino) e dell’adolescenza, efficacia nell’82% dei casi (disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività, disturbo oppositivo-provocatorio, mutismo elettivo, disturbo da evitamento, ansia da prestazione, fobia scolare, disturbo da isolamento;
- disturbi legati all’abuso di Internet, efficacia nell’80% dei casi ( information overloading addiction, shopping compulsivo in Rete, le scommesse in Rete o on-line gambling, trading on-line compulsivo, dipendenza da chat, dipendenza da cybersesso).