“Delle cose invisibili e delle cose visibili soltanto gli dèi hanno conoscenza certa; gli uomini possono soltanto congetturare” (Alcmeone)
Per quel che riguarda il panorama costruttivista-strategico, le origini storiche risalgono alle antiche tradizioni elleniche, all’arte della retorica dei sofisti (Gorgia e Protagora) e agli stratagemmi cinesi. Ossia a quell’insieme di studiosi e di scritti che hanno focalizzato la loro attenzione in primis verso il COME (non il perché) risolvere complicati problemi umani mediante l’utilizzo di specifiche e rigorose tecniche comunicative di tipo persuasorio che sappiano aggirare le naturali resistenze al cambiamento, dal momento che, come diceva Shri Aurobindo, “Ogni creatura ama le proprie catene: questo è il primo paradosso e il nodo inestricabile della nostra natura”.
Nel percorso storico più recente, riguardante la crescita conoscitiva progressiva di questo approccio del tutto innovativo rispetto ai tradizionali scenari teorici delle classiche psicoterapie, possiamo delineare alcuni Autori che attraverso il loro sforzo applicativo ci hanno lasciato alcuni capisaldi teorici sui quali si è ri-fondata una visione più moderna e flessibile di Psicologia e Psicoterapia.
George Kelly (1950), costruttivista radicale, con la sua Psicologia dei Costrutti personali. Il presupposto fondamentale delle sue ricerche si basa sulla constatazione che la nostra conoscenza della realtà (e non solo quella scientifica) non si fonda sulla percezione diretta e passiva di “fatti”, ma consiste in un processo attivo di costruzione e ricostruzione.
L’uomo è visto come un ricercatore, autoinventato e modellato dalla direzione e dal risultato delle proprie indagini, ovvero da una serie articolata di “costrutti personali” che guidano le sue azioni, così come le sue credenze. Gli eventi che affrontiamo sono soggetti infatti a tanto numerose costruzioni quanto la nostra intelligenza ci permette di concepire: non possiamo avere un contatto diretto con la realtà, in quanto “tutto ciò che è visto è visto da un osservatore”. Possiamo soltanto fare ipotesi su ciò che la realtà è e poi verificare l’utilità o meno di tali ipotesi o costrutti. E’ attraverso di essi che la persona organizza e dà un senso alla propria esperienza e alla narrazione di sé, anche quando esse diventano fonte di sofferenza psicologica.
W. Heinsenberg (1958) e A. Einstein (1916), scienziati puri, il primo con il suo Principio di indeterminazione ed il secondo con la sua Teoria della relatività, ci hanno spiegato chiaramente che anche nella Fisica (e non solo nella Psicologia), l’osservatore, attraverso gli strumenti che utilizza per la sua osservazione, influenza e deforma ciò che osserva, così come lo sperimentatore costruisce l’esperimento (ed i suoi risultati) attraverso le proprie aspettative teoriche ed i propri strumenti di indagine. Anche solo a partire da tali assunti (senza considerare anche, ad esempio, le recenti formulazioni della Cibernetica e di quella prospettiva epistemologica nota come Costruttivismo radicale di H. von Foerster 1973, 1987, 2001; H. von Glaserfeld 1984, 1995; P. Watzlawick 1976, 1981), appare oramai insostenibile la possibilità di ottenere una qualche forma di conoscenza “oggettivamente vera” della realtà. Il COME conosciamo influenza il COSA conosciamo e tali processi determineranno il COME reagiremo a quelle realtà che presumiamo essere “vere”.
Heinz von Foerster (1973), cibernetico, con il suo imperativo “Se vuoi vedere impara ad agire” (ovvero come sia possibile, partendo dall’azione nel qui e ora, modificare reazioni e percezioni che hanno costruito e mantenuto il problema), rivoluziona quel classico fondamento che ha invece fondato e fonda le psicoterapie più tradizionali, che nel nostro campo professionale sembra aver assunto valore quasi dogmatico. Infatti, per quanto differenti possano essere o sembrare gli approcci teorici e metodologici attuali alla psicoterapia (quelle di derivazione psicodinamica, quelle psicoanalitiche, quella comportamentista ed in parte anche quella cognitivista), essi condividono un preciso assunto di base, ovvero che la conoscenza dell’origine/causa di un problema nel passato sia una imprescindibile condizione per la sua risoluzione nel presente. Tale paradigma è impresso nel modello di pensiero e della ricerca cosiddetta lineare, positivista e determinista; esso presume di poter possedere una teoria (una ed unica) vera a priori per sondare la realtà (una ed unica) e che quest’ultima possa essere vista e declinata in termini oggettivi.
Karl Popper (1983), in particolare con il suo concetto di Preposizione autoimmunizzante: l’assunto che la scoperta delle cause di un problema sia una conditio sine qua non per cambiare, crea un dogma che si legittima sia con il proprio successo che con il proprio fallimento e perciò diviene NON falsificabile. “Se i fatti non si adeguano alla teoria, tanto peggio per i fatti”, come disse Hegel.
Franz Alexander (1946), con l’importante concetto di Esperienza emozionale correttiva, nel quale si esplicita come sia attuabile un reale e concreto cambiamento nel presente (senza scomodare il passato, che per definizione è immodificabile) attraverso concrete esperienze-azioni che per la loro carica emozionale sono in grado di far mutare il punto di vista della persona, che proprio tramite la ripetizione di tale disfunzionale percezione ha creato-costruito e poi mantenuto il problema. Come ci ricorda P. Watzlawick “ La tentata soluzione ridondante ad un problema diventa poi essa stessa il problema”, trasformandosi da possibile uscita da una difficoltà a rigido circolo vizioso di percezioni-reazioni che la autoperpetuano. Ciò è reso possibile dalla constatazione pratica che, come affermava Nietzsche, “La spontaneità non è che l’ultimo apprendimento diventato acquisizione”.
Jean Piaget (1973), con la sua fondamentale opera “La costruzione del reale nel bambino”, ci dimostra attraverso accurate osservazioni e situazioni sperimentali create ad hoc, come il bambino costruisca di fatto la sua realtà mediante azioni esplorative e non pervenga alla sua formazione, invece, attraverso immagini mentali che poi lo facciano agire di conseguenza.
Paul Watzlawick (1976) e la comunità di terapeuti dell’MRI (Mental Research Institute) di Palo Alto (G. Bateson, R. Fish, J. Weakland e altri), nel solco della tradizione sistemico-relazionale, con la sua basilare distinzione tra realtà di primo ordine, ovvero le proprietà degli oggetti a livello fisico e realtà di secondo ordine, ovvero il senso ed i significati che la persona attribuisce a tali oggetti.
“Non sono le cose in sé che ci preoccupano, ma le opinioni che noi ci costruiamo di quelle cose”.
I problemi umani che noi Psicologi ci troviamo ad affrontare sono correlati, in tal senso, alle realtà di secondo ordine e perciò non possono essere risolti medianti gli assunti deterministi e riduzionisti propri delle realtà fisiche di primo ordine. Da ciò ne discende che ogni terapia psicologica dovrebbe avere come obiettivo prioritario quello di indurre dei cambiamenti nelle modalità attraverso le quali le persone hanno costruito le realtà che poi subiscono, appunto quelle di secondo ordine, che sono poi quelle nelle quali essi credono fermamente. Tali cambiamenti, declinati in precisi obiettivi terapeutici condivisi con il paziente, vengono perseguiti attraverso specifiche tecniche comunicative non ordinarie, paradossi, autoinganni e suggestioni linguistiche, così ben descritte e dimostrate da esempi concreti nella famosa “Pragmatica della comunicazione umana” (1971), testo base di P. Watzlawick e riferimento imprescindibile anche per le riformulazioni delle moderne tecniche del Dialogo strategico (G. Nardone, A. Salvini, 2004).
Così riprendendo H. von Foerster, se noi motiviamo una persona a intraprendere un’azione “nuova” (ovvero percepita come impossibile e impensabile nella realtà di secondo ordine di quell’individuo), egli esperirà qualcosa che mai nessuna spiegazione razionale e logica avrebbe potuto indurlo a vedere, sentire ed esperire. In tale direzione, l’utilizzo di particolari tecniche comunicative che sappiano cavalcare le logiche di funzionamento del problema (il COME, quindi, e non il PERCHE’) di secondo ordine, è messo al servizio dello scardinamento di quel circolo vizioso di tentate soluzioni che si è irrigidito nel tempo ed è diventato, per il paziente, automatico e ridondante al punto da costituire l’ossatura stessa della problematica psicologica, cioè il fattore principale che anziché risolvere o lenire la sofferenza, la perpetua e la autoalimenta.
Quando ci occupiamo di fenomeni che hanno a che fare con la relazione che la mente ha con sé stessa, gli altri ed il mondo circostante, la logica lineare (quella aristotelica, determinista, del vero o falso, della certezza dell’osservazione di una realtà oggettiva e di una conseguente teorizzazione vera a priori) non può funzionare perché io influenzo ciò con cui interagisco: introduco, consapevole o meno, continui cambiamenti nella realtà che mi “torna indietro” modificata ed a sua volta modifica me, in una circolarità di effetti reciproci di influenzamento. Questo è il principio di feedback della Cibernetica, della retroazione degli effetti, per cui introducendo un cambiamento in un sistema, tutto il sistema ne viene influenzato e si modifica. La circolarità quindi si sostituisce alla linearità causale e unidirezionale, per cui, operativamente, l’unica opzione che appare possibile per conoscere un problema è arrivarci attraverso la sua soluzione: invece di conoscere per cambiare, cambiare per conoscere.
John L. Austin (1987) ed i suoi numerosi studi nell’area specialistica della linguistica sugli aspetti teorico-pratici dei linguaggi ingiuntivi (come alternativa terapeutica al linguaggio indicativo degli assunti deterministici) o di quelli chiamati proprio da Austin gli “atti linguistici performativi”: l’emissione di una parola è essa stessa effettuazione di una azione e non il semplice “dire qualcosa”, come si ritiene comunemente.
Il “come fare cose con le parole”, ovvero COME far sì che specifiche tecniche di comunicazione terapeutica possano letteralmente costruire delle realtà: nuove realtà funzionali, anziché disfunzionali al benessere della persona. “Realtà inventate” direbbe P. Watzlawick, che costruiscono equilibrio, sostituite ad altrettante realtà inventate che producevano disagio e sofferenza.
Milton Erickson (1982), ispiratore di molte delle tecniche comunicative della terapia sistemica, introduce attraverso i suoi numerosi studi ed applicazioni dell’ipnosi senza trance, una innovativa metodologia comunicativa destinata a stravolgere il classico linguaggio usato nella psicoterapie tradizionali, ovvero quello indicativo fatto di spiegazioni e interpretazioni. Quello ericksoniano è un linguaggio eminentemente evocativo e performativo-ingiuntivo che imparando e ricalcando quello del paziente (e non viceversa come avviene nelle terapie usuali, cioè che è il paziente a dover addestrarsi a imparare quello del terapeuta), prescrive indirettamente ed in modo suggestivo concrete azioni da compiere volte al cambiamento sia della situazione problematica sia della costruzione di realtà che cognitivamente l’ha prodotta e la mantiene.
Giorgio Nardone (1987),con la fondazione del Centro di Terapia Strategica di Arezzo in collaborazione con P. Watzlawick e la pubblicazione di numerosi scritti teorico-applicativi, offre una sistematica, originale e personale rielaborazione dei principali concetti epistemologici ed operativi fin qui descritti.
Inoltre, nel corso di più di venti anni di Ricerca-intervento terapeutica a contatto con le più svariate ed impedenti problematiche psicologiche, ha saputo declinare in termini rigorosi e seguendo i criteri internazionalmente riconosciuti per la verifica dei risultati in Psicoterapia (follow-up ripetuti fino ad un anno di distanza dalla fine della terapia), numerosi ed altrettanto specifici Protocolli di trattamento basati sul Problem Solving e la Comunicazione di tipo Strategico per molti disturbi dell’area clinica e per le disfunzioni legate ai contesti organizzativi (aziende, scuole, contesti di gruppo).
Tali Protocolli costituiscono delle precise linee guida di tipo operativo (obiettivi, manovre terapeutiche, tecniche comunicative, logiche di funzionamento del problema, fasi del trattamento) che vanno accuratamente ed elasticamente adattate dal terapeuta alle peculiari caratteristiche del singolo paziente. Da questo monumentale lavoro (coadiuvato dalla ricerca congiunta delle centinaia di Studi Affiliati in Italia ed in tutto il mondo), sono scaturite numerose pubblicazioni scientifiche tradotte in molte lingue, che sono divenute testi fondamentali per tutti i Professionisti che intendano approfondire questa Innovativa metodologia operativa e di pensiero (vedi Bibliografia nel sito www.centroditerapiastrategica.com).